A proposito di mescolare: le istituzioni e l’eredità culturale

Le istituzioni culturali e il tessuto professionale che, a diverso titolo, si prende cura dell’eredità culturale, hanno oggi un ruolo centrale nell’incidere sul tipo di sviluppo che il paese sceglierà.

Uso ad essere considerato un settore dai confini ben definiti, questo tessuto stenta ad affermare con forza il ruolo dell’eredità culturale ben oltre la dimensione culturale. Ruolo centrale perché un reale e diffuso recupero del rapporto con il nostro passato, il riconoscimento e il senso di appartenenza che la conoscenza genera, saranno determinanti nel generare partecipazione e condivisione del presente invece che estraneità, paura e rifiuto.

Ritorno al termine eredità culturale, e non solo beni culturali, perché il concetto di eredità evoca molto di più il senso di un insieme materiale e immateriale di cose e significati che, in quanto eredi, ci riguardano direttamente. È prevalsa invece nel senso comune l’idea di una dimensione separata dalla società, estranea alle altre. Si sente questo distacco nella diffusa mancanza di coscienza e sensibilità storiche, nelle reazioni al cambiamento prive di un pensiero critico che può venire solo dalla conoscenza del passato come processo continuo di cambiamento e come parte integrante del presente.

Penso si possa condividere la consapevolezza che questo radicato distacco, oggi nel secolo della piena espansione della cultura digitale, lascia larghe componenti della collettività in balia di un magma perenne che non ‘con-prendono’ mentre cambiano le modalità di apprendimento, la circolazione dell’informazione e delle idee, le relazioni fra i luoghi e i saperi. Mentre gli oggetti della memoria restano ancorati nella loro fisicità ai luoghi in cui sono nati e alle istituzioni di conservazione, i significati immateriali che essi rappresentano per l’umanità circolano nella rete e s’intrecciano generando nuove relazioni e una fitta trama che qualcuno dovrà pure raccontare (e quindi rappresentare).

L’incessante crescita del digital heritage pone alle istituzioni culturali e alle professioni del patrimonio l’impegno a elaborare nuovi linguaggi, a frequentare metodi d’indagine diversi, ma non più distanti o estranei (diversità non è sinonimo di ineludibile distanza). Conoscendo la forza della logica dicotomica/oppositiva/disgiuntiva, non dimentico di sottolineare che l’esplorazione di metodi e strumenti conoscitivi, applicativi e comunicativi, non diminuisce affatto la necessità dei linguaggi descrittivi e non è in alternativa ai saperi consolidati. Perché dovremmo rinunciare a quanto faticosamente conquistato invece di trovare le condizioni di un incontro proficuo? Fare i conti con la complessità del presente, esplorare i confini disciplinari e specialistici, può diventare un percorso di rilancio e di consapevolezza di quelle finalità di diffusione delle conoscenze che sono scritte ai primi punti nei codici etici e negli statuti delle istituzioni culturali e educative.

Tutte le professioni legate all’eredità culturale avrebbero bisogno di una mobilitazione valoriale per allargare la condivisione e la partecipazione ai contenuti culturali, così apparentemente disponibili e invece di fatto inaccessibili alle diverse periferie che circondano la cittadella della storia e della cultura. Potremmo distogliere un po’ di energie dalle classiche coppie oppositive: specialismo-genericità, economia-cultura, pubblico-privato, aperture-chiusure, gratuità-pagamento e così via, che da decenni occupano il centro del dibattito sul patrimonio culturale, senza dar conto della trama di relazioni trasversali in cui siamo immersi, dello spostarsi continuo dei confini e dell’intreccio continuo di saperi e dimensioni nella vita reale.

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