Il passato è di tutti

…lo strappo dal passato, ricostruito non di rado come una fiction a fini puramente strumentali, priva la società del suo ancoraggio e ci rende estranei l’un l’altro, indebolendo la coesione sociale e il senso di appartenenza.

“Cultura è Salute” offre la piattaforma ideale per ricostruire i tratti di un cambiamento epocale in atto oggi in Italia in campo medico e terapeutico: la presenza attiva della cultura nei luoghi della salute, della cura e del benessere. Ancora frammentato e fuori dai riflettori, questo processo rappresenta uno dei modi più innovativi di restituire alle arti e alla cultura il ruolo di bene comune della collettività che ne è la legittima erede. Quando parliamo di cultura parliamo sempre di eredità culturale, perché niente di quello che siamo nel presente è estraneo alle esperienze accumulate per arrivare fin qui.

Il movimento incessante di creazione e distruzione, conquiste e regressioni, ragione e sentimenti, ha prodotto l’impasto di cui siamo fatti. Non riconoscerlo significa perdere una parte di noi stessi. L’archivio stratificato dentro di noi conserva le tracce del percorso e tiene le chiavi per comprendere l’umanità che ci circonda e non sentirla estranea. Il poeta latino Terenzio già nel 165 a.C. esprimeva nel modo più limpido quest’appartenenza sia nel bene che nel male: Sono uomo niente di ciò che è umano ritengo a me estraneo. Quando si è malati e in preda al malessere o a disagio con se stessi e con il mondo, connettere mente e emozioni alle esistenze di altri esseri umani, alle loro opere, allarga lo sguardo e ci distoglie dall’ausculto ossessivo del nostro polso.

Del resto la funzione catartica (purificatrice) dell’arte, nelle sue diverse forme espressive, è stata descritta fin dall’antichità come possibilità di liberare dalle angosce e di richiamare dal profondo le energie emotive e intellettuali. Sono le stesse ragioni che rendono i classici senza tempo, parlano ad ogni generazione perché gli autori sono riusciti a rendere universale il loro mondo interiore, dando voce anche al nostro. Dire che il presente e il futuro sono frutto del passato, individuale e collettivo, suona ovvio ma poi questa consapevolezza sfuma, le parole si usurano fino a perdere significato e anche la capacità di incidere sulla realtà. Al di là della retorica con cui spesso si evoca la nostra storia, lo strappo dal passato, ricostruito non di rado come una fiction a fini puramente strumentali, priva la società del suo ancoraggio e ci rende estranei l’un l’altro, indebolendo la coesione sociale e il senso di appartenenza.

Ridiamo alla memoria corpo e pienezza, restituendo ai contemporanei quell’umanità viva che ha costruito per noi il patrimonio culturale, riallacciamo le fila fra il presente di oggi e il presente di quelle donne e quegli uomini. Il rapporto con le espressioni creative stratificate un’epoca dopo l’altra – opere d’arte, teatro, musica, letteratura, architettura e paesaggio, cinema, fotografia e il loro evolversi nella storia – produce conoscenza, ma prima ancora ricuce la trama delle esistenze (come nelle opere dell’artista Maria Lai) che diventano anch’esse storie da raccontare. Si rientra nel flusso ininterrotto della creatività e lo sguardo impara a godere della bellezza, questa immensa ricchezza materiale e immateriale che può restituire alla persona (e alla collettività) la capacità ideativa e realizzativa.

Dalla parte di medici, infermieri, e associazioni che promuovono le arti e la cultura come cura e fonte di benessere psicofisico ci sono ormai studi ed evidenze scientifiche sul valore terapeutico della prospettiva culturale. Le pratiche che si fondano sulle conoscenze umanistiche guardano all’essere umano come sistema in cui non solo mente ed emozioni interagiscono e si modificano reciprocamente ma in cui opera anche uno scambio continuo tra il passato e presente. Del resto l’attraversamento dei confini consolidati è il frutto più maturo della cultura digitale in cui siamo immersi, ben oltre la dimensione puramente tecnologica.

Le attività di “Cultura è salute” hanno il valore strategico di promuovere e allargare le occasioni d’incontro con questo patrimonio, creare familiarità e possibilità di intercettare il vissuto dei malati nelle strutture di cura, mettendoli in grado di scambiare i loro pensieri e emozioni con quelli che si sprigionano dalla creatività e dalle passioni delle opere. Quasi 20 secoli dopo il latino Terenzio, nel 1818 un altro poeta l’inglese John Keats inizia il suo poema Endymion1 con “A thing of beauty is a joy for ever” splendida sintesi alla capacità della bellezza, in tutte le sue espressioni e forme, di “di togliere il drappo oscuro che troppo spesso avvolge le nostre vite”.

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