Digital library italiana. Aspettative e dubbi

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Il progetto di Digital library italiana annunciato dal Ministro Dario Franceschini ha evocato, come le macchie di Rorschach, diverse rappresentazioni, dal convinto apprezzamento allo scetticismo, passando per la reazione delle categorie ed esperienze bypassate. In effetti la digital library è già iniziata da un pezzo, “a sua insaputa”, scoordinata e dispersa nelle più diverse memorie e istituzioni. Si discute il decisionismo del Ministro e la scelta immediata dell’Iccd come Istituto coordinatore, ma mancano ovviamente in questa fase le modalità attuative e vedremo che spazio di partecipazione ci sarà per archivisti e bibliotecari, già protagonisti del digital heritage finora pubblicato in rete.

Spero che in futuro terremo conto del prezzo che inevitabilmente il settorialismo fa pagare: se non fossimo pervicacemente propensi a differenziarci ben oltre le diversità esistenti, questo gran lavoro pregresso sarebbe fin d’ora ben visibile, organico e predisposto a una vera e propria digital library. Non c’è bisogno di ripartire da zero, si possono ottenere i primi risultati mettendo a sistema il patrimonio già digitalizzato, tanto più che questo non implica affatto la dispersione generalista dei contenuti specialistici. S’intravede poi nelle parole del Ministro un fine di valorizzazione economica dell’ambiente digitale, ma è tutto da vedere perché la ricaduta economica può essere generata in modi efficaci e indiretti (per esempio pubblicità), senza restringere l’accesso e quindi la libera circolazione di contenuti relativi ad un bene che appartiene alla collettività.

Molte istituzioni e siti culturali accolgono da tempo pubblicità (coerente con l’immagine dell’ente e ben distinta dall’organizzazione dei contenuti) e cercano di generare introiti attraverso altre forme di finanziamento, pur di non intaccare la gratuità dell’accesso. L’economia e l’innovazione nell’ambito della conoscenza sono ormai generati dalla condivisione, e, quindi dalla vitalità progettuale e attuativa che proviene dalla larga disponibilità di contenuti e relazioni. So che sembra astratto, ma non lo è, si tratta di processi in atto adesso e anche in Italia.